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‪#‎CHIESAASCOLTACI‬ – CAPITOLO 9 – CINZIA&GIAMPAOLO

“Caro Papa Francesco, siamo Cinzia e Giampaolo, moglie e marito. Ci siamo sposati tre anni fa nella Chiesa di Sant’Agata dei Goti a Roma. E questa per noi non è stata solo una scelta coreografica.
La Chiesa rappresenta, infatti, la casa che abbiamo abitato sin da bambini e che ci ha aiutati a diventare gli adulti che siamo oggi, genitori peraltro di due bimbi meravigliosi.
Il giorno del nostro matrimonio è stato un vero terremoto emotivo. Per più ragioni. All’altare siamo arrivati già in tre. C’erano parenti e amici da tutta Italia e da ogni continente che hanno pregato, suonato e cantato per noi. Tre sacerdoti che ci hanno accompagnato in momenti importanti della nostra vita hanno concelebrato il rito. È stata una vera festa di comunità. E noi vivevamo la bellezza di un sacramento, segno della presenza di Dio nella nostra vita.
Guardando indietro tra i banchi, tuttavia, lo sguardo si è anche posato su quegli amici e testimoni – omosessuali – cui quella nostra stessa felicità è tuttora preclusa.
Come potevamo noi essere pienamente felici del dono che stavamo per ricevere sapendo che questi nostri amici non potranno vivere questo stesso senso di pienezza, di accoglienza, di benedizione? E come possiamo veramente credere in una Chiesa che abbiamo conosciuto come materna e accogliente e invece scopriamo spesso crudele e antievangelica, quando mette alla porta i suoi stessi figli perché li considera “irregolari”?
Lo siamo stati anche noi “irregolari”, quando ci hanno impedito di fare da madrina e padrino di battesimo alla figlia di amici fraterni, perché eravamo ancora conviventi non sposati. Anche noi, per un momento, abbiamo percepito sulla nostra pelle quanto fa male essere esclusi, proprio da chi non te lo saresti mai aspettato. E ci siamo chiesti quanto dolore, ogni giorno, possano provare per questo i nostri amici cattolici omosessuali, nonostante i tuoi sforzi, Papa Francesco, forse ancora insufficienti per costruire una Chiesa accogliente e misericordiosa nei fatti oltreché nelle dichiarazioni pubbliche, nel magistero oltreché nella pastorale.
Come genitori ci impegniamo, davanti ai nostri figli, a rendere la nostra famiglia un luogo di accoglienza e di rispetto per tutti. Non lo pretendiamo dunque solo dalla Chiesa, ma prima di tutto da noi stessi e dalla nostra casa.
Il nostro sogno di sposi cattolici, tuttavia, è che quella casa “più grande”, nella quale vorremmo che anche i nostri figli crescano, spalanchi definitivamente le sue porte a tutti quelli che vorranno varcarle, consentendo loro di percorre le sue navate a testa alta, dagli ultimi banchi fino all’altare.”