Chiesascoltaci

#CHIESAASCOLTACI – CAPITOLO 21 – GRAZIANO

“Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni” (Ger. 1,4).

Questo versetto di Geremia mi ha sempre affascinato: Dio mi ha conosciuto ben prima che i gameti che hanno generato il mio corpo si unissero e la gravidanza, grazie alla quale sono venuto a questo mondo, avesse inizio.

Ho saputo molto presto di essere gay, credo che il mio corpo me lo dicesse sin dall’adolescenza, ma vivevo in una provincia in cui fin da bambini si viene abituati ad essere “veri uomini”, a deridere gli omosessuali, a pensare che siano meno uomini degli etero, si viene abituati a vivere circondati dagli stereotipi. Mi sono anche fidanzato con una ragazza, ma il mio corpo continuava incessantemente a parlarmi nel suo linguaggio a ultrasuoni che il mio orecchio non udiva, finché non giunge il passo della mia vita che cambia tutto e tutto mette in discussione.

Fin da piccolo ho vissuto una profonda vita di fede, una fede appassionata ma dialettica, in cui io e Lui eravamo innamorati ma litigiosi, in conflitto: io non riuscivo a staccarmi da Lui ma a volte proprio non ce la facevo a volergli bene e ad accettare ciò che la Chiesa diceva. Ebbene circa due anni e mezzo fa capisco che c’era un desiderio che faceva parte da sempre della mia vita, che forse non avevo visto o che non avevo voluto vedere: il desiderio di essere sacerdote. Per questo motivo inizio una prima fase di discernimento nella mia diocesi, percorso che inizio con gioia, convinto di essere finalmente giunto al bandolo della matassa, convinto che tutto nella mia vita abbia trovato il proprio posto e ogni tassello sia ormai collocato alla perfezione. Certo dentro di me qualcosa mi suggeriva che le mie esperienze sessuali erano in contrasto con quanto dice la Chiesa, ma in fondo, mi dicevo, stavo scegliendo una vita di castità a cui mi sentivo chiamato nel profondo, dunque il mio orientamento sessuale non avrebbe in alcun modo potuto inficiare ciò che stavo facendo.

Ovviamente mi sbagliavo. Mi era sfuggito un piccolo dettaglio che, tutto concentrato a pensare alla castità, non avevo considerato: la coerenza con me stesso. Per la Chiesa Cattolica infatti un gay, in quanto tale, non potrebbe accedere agli ordini sacri e se anche (mentendo) vi accede deve ovviamente aderire ad una dottrina che continua a considerare l’omosessualità un “grave disordine morale”.

E’ proprio quando inizio a pormi il problema della coerenza con me stesso che esplode di fronte a me una ridda di domande: posso fondare tutta la mia vita su una menzogna o comunque su un’omissione di qualcosa di così personale? Posso diventare prete e magari essere d’aiuto anche a tanti gay credenti ma, allo stesso tempo, dover professare una dottrina che disprezza quello che sono? Posso vivere costantemente con la paura che questo dato della mia vita venga scoperto, diventando uno scandalo? Ero letteralmente spaccato a metà tra la mia fede, il progetto che coltivavo, il sogno di quel bellissimo giorno della mia ordinazione in cui avrei indossato quella splendida casula bianca e la coerenza con me stesso, la possibilità di alzarmi tutte le mattine e non dovermi vergognare di quello che sono, la possibilità, in definitiva, di essere libero.

Ho passato lunghe notti insonni a rigirarmi nel letto e lunghi giorni a interrogarmi alternando i pensieri a crisi di pianto immotivate, fino a quando ho capito che non potevo più andare avanti così. La scelta è stata dolorosa! Immaginate il più bel sogno della vostra vita, uno di quei sogni che ti fa andare avanti, che ti fa sorridere quando ci pensi, che sai con certezza essere la direzione perfetta per la tua esistenza e immaginate di doverlo abbandonare a causa del vostro orientamento sessuale, di un dato della vostra vita che non avete scelto e che, pur volendo, non potete cambiare. Certo ci avevo provato a cambiare, con tutto me stesso, avevo spinto il mio corpo a provare sensazioni che però lui non era programmato per provare arrabbiandomi poi col mio corpo e con Dio perché non accadeva ciò che volevo.

Ma non si può lottare tutta la vita contro quel corpo che c’è, e c’è, e c’è e abbandonarsi ad esso e ai suoi messaggi diventa necessario se si vuol essere almeno sereni. Così, pur con la morte nel cuore, abbandono il percorso vocazionale, scelgo me stesso, scelgo la mia coerenza.

Mi ero convinto che il desiderio del sacerdozio, quella profonda e bruciante chiamata che sentivo in me, fosse ormai definitivamente soppresso, che essermi dichiarato con la mia famiglia e con il vescovo fosse stato un ultimo passo che aveva chiuso quella pratica, ma mi sbagliavo ancora. Ora so esattamente che quel desiderio non mi abbandonerà mai, so che lui sarà il mio personalissimo vuoto da portare e sopportare, so che d’ora in avanti guarderò il sacerdote celebrare la messa con lo stesso struggente desiderio di sempre e ho capito che dovrò semplicemente imparare a convivere con questo desiderio che non mi lascerà mai.

Il Vangelo contiene delle pagine meravigliose e di quelle pagine e di quel Cristo io sono profondamente innamorato, così innamorato che credo nessun amore della mia vita potrà mai essere pari, così innamorato che ero pronto a mettere in gioco la mia vita per quelle pagine, solo che il prezzo da pagare era davvero troppo alto, si sarebbe trattato di rinunciare per sempre alla parte più profonda di sé.

Il versetto di Geremia continua ad affascinarmi anche se non so a quale popolo e a quale nazione Dio abbia bisogno di inviarmi come profeta, non so nemmeno se lo farà. Spero solo di esserne capace, anche se dovessi essere soltanto la “voce di uno che grida nel deserto…”