Eventi culturali e ritiri spirituali
Parola e Parole

“Parola… e Parole”: il succo del quarto incontro

Nota: La restituzione è una sorta di resoconto di quanto è stato detto nel corso dell’incontro. Come in un collage, sono messi insieme frammenti significativi degli interventi dei singoli partecipanti, parole e pensieri espressi da ciascuno e ciascuna.

Il testo del Vangelo di Giovanni ci invita a riflettere sulla storia della guarigione di un cieco nato. Vedendo il cieco i discepoli chiedono: “Rabbì, chi ha peccato lui o i suoi genitori perché egli nascesse cieco?” “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio!” – risponde Gesù. Proprio nell’epoca in cui un difetto fisico o una malattia erano considerati un castigo di Dio, Gesù con la sua risposta aiuta i suoi discepoli a trasformare radicalmente l’immagine di Dio: è compiuto il passaggio dal Dio giudice, dal Dio che punisce, al Dio misericordioso, al Dio che accoglie.
Attraverso un processo anche doloroso viene evocato nel gruppo il personale percorso verso una nuova spiritualità, dalla oscurità della cecità fino alla piena luce della fede illuminata da Gesù.
Eppure il senso di colpa continua ad attraversare generazioni di genitori, soprattutto quelli che hanno figli omosessuali. Dove abbiamo sbagliato? Continuano a chiedersi dolorosamente. C’è però nel gruppo chi testimonia un vissuto diverso: Non ho mai pensato, avendo un figlio gay, che potessimo aver sbagliato qualcosa noi genitori; sarebbe come dire che nostro figlio è uno “sbaglio”, che è così per un nostro errore. No, non lo penso, perché a me mio figlio piace proprio tanto, così com’è. Quello che mi ha fatto soffrire e per cui mi sono colpevolizzata è di non aver capito per anni quello che lui andava vivendo in totale solitudine. Mi ha poi molto aiutato la scelta di condividere la mia esperienza di madre di un
ragazzo gay, di mettere in comune con altri la ricchezza trasformativa che quest’esperienza mi ha dato. Penso che sia questo il modo di andare avanti: comunicare, parlare con trasparenza, aiutare le persone a capire, per costruire un terreno accogliente intorno ai nostri figli.
Gesù continua: “Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può operare. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo”. Gesù sembra invitarci a cogliere l’urgenza di operare, al più presto, mettendo in circolazione senza indugi la misericordia che ci ha messo dentro.
Fa riflettere la reazione dei genitori di fronte alla domanda dei farisei: “Come mai vostro figlio, nato cieco, ora ci vede?” Rispondono con cautela, probabilmente perché temono di subire qualche ritorsione qualora avessero professato la fede in Gesù, e passano al figlio la responsabilità di rispondere. La cautela di quei genitori, intimoriti di fronte ai Giudei, ha forse qualcosa a che vedere con il timore di alcuni genitori di figli omosessuali della reazione degli altri.
Il mondo ostile è una triste realtà, eppure intorno c’è anche altro, fa notare qualcuno. A partire dai propri genitori che sono stati capaci di trasmettere valori importanti, come l’etica del lavoro, di trasmettere quelle risorse indispensabili proprio per affrontare l’ostilità di quel mondo.
C’è chi nel gruppo è rimasto colpito dalla preoccupazione dei discepoli che si concentra non tanto sul cieco come persona, sulle sue difficoltà, quanto piuttosto sul modo come schedarlo, catalogarlo rispetto alla “norma”. A volte accade anche oggi che la preoccupazione di ricondurre tutto a regole e categorie conosciute e rassicuranti abbia il sopravvento sulle esigenze concrete degli altri.
Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita. Ecco. Qualcuno viene attirato proprio da questa espressione: “dalla nascita “. Gesù incontra la persona così com’è, dall’inizio della sua storia e in questa persona così com’è, e non come dovrebbe essere, si manifesta l’opera di Dio, la presenza luminosa di Dio in mezzo a noi. Gesù è l’Inviato del Padre che realizza le opere di Dio, che testimonia, attraverso il suo miracolo, la presenza del Padre: e il cieco comincia a vedere. C’è dunque un invio, una promessa, un riconoscimento. “Sono io!” – dice il cieco che ha riacquistato la vista. Trova la forza di dire: “Sono io”.
Quanto è lontano questo discorso dalla ricerca del capro espiatorio tipico della nostra società! Forse la domanda semplice ed essenziale dovrebbe essere: “Ma sei felice, figlia mia, figlio mio?” In fondo è questo che conta.
Forse oggi è più che mai necessario ricentrare il proprio percorso di fede ed interrogarsi sull’incontro con Gesù qui e ora e non perdere la speranza che dalle brutture della vita possano nascere cose grandi e belle. Credere nella forza creativa di una materia che, sebbene sporca, come il fango che Gesù mette sugli occhi del cieco, è però indispensabile per fare il miracolo. Simbolicamente, come il fango ha dato la vita ad Adamo, è il fango a dare la vista al cieco, fa notare qualcuno.
Quel fango che Gesù spalma sugli occhi del cieco all’inizio non consente di vedere; solo dopo che si sarà lavato nella piscina di Siloé, il cieco potrà vedere. In questo pulirsi gli occhi per arrivare a Gesù, c’è chi intravede la risposta di Dio alla sua richiesta di aiuto, quando durante l’adolescenza aveva chiesto a Dio di “farsi vedere”.
Il miracolo avviene in modo semplice, come altri miracoli di Gesù. Gesù – si è detto nel gruppo – evita sempre la spettacolarizzazione, perché il suo obbiettivo non è quello di far sfoggio di poteri, ma di dimostrare che è Dio ad operare in lui, non vuole avere intorno a sé dei sudditi, che lo temono e lo seguono come si segue un potente, ma dei discepoli, che decidono in piena libertà e responsabilità di condividere con lui il suo cammino. I suoi miracoli, le sue guarigioni sono gli strumenti di cui si serve per alimentare la fede e spingere ad un’autentica conversione.
C’è chi si è sentita e si sente spiazzata dalla radicalità del messaggio di Gesù, che l’ha spinta a mettersi in discussione, a fare i conti con il suo desiderio di “normalità”, di omologazione, alla sua voglia di essere come gli altri. Di fronte al dolore trattenuto e al pianto disperato della propria figlia al momento del coming out è come se il processo di conversione avesse avuto un’accelerazione, rendendo più facile il passaggio dal sogno di una figlia femmina carina, dai capelli lunghi e fluenti, elegantemente e graziosamente vestita, all’accettazione della figlia così com’è, con le sue magliette orrende e il suo taglio di capelli alla maschietta.

Giovanni 9,1-25
Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio. Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)». Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: «Non è egli quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli chiesero: «Come dunque ti furono aperti gli occhi?». Egli rispose: «Quell’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Va’ a Sìloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è questo tale?». Rispose: «Non lo so».
Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco: era infatti sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri dicevano: «Come può un peccatore compiere tali prodigi?». E c’era dissenso tra di loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori risposero: «Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco; come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l’età, parlerà lui di se stesso». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età, chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quegli rispose: «Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo».